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Didattica metacognitiva

La didattica metacognitiva e lo sviluppo dell’autoregolazione

 

Nella didattica metacognitiva l’attenzione dell’insegnante è rivolta al formare quelle strategie mentali superiori di autoregolazione che vanno al di là dei semplici processi cognitivi primari (ad esempio, leggere, calcolare, ricordare, ecc.). Questo andare al di là della cognizione significa innanzitutto sviluppare nell’alunno la consapevolezza di quello che sta facendo, del perché lo fa, di quando è opportuno farlo e in quali condizioni. L’insegnante che opera in modo metacognitivo interviene a quattro livelli diversi, che rappresentano altrettante dimensioni ben distinte della metacognizione, anche se esse sono strettamente interconnesse e si influenzano reciprocamente. Queste sono le conoscenze sul funzionamento cognitivo in generale, l’autoconsapevolezza del proprio funzionamento cognitivo, l’uso generalizzato di strategie di autoregolazione cognitiva e infine le variabili psicologiche di mediazione, ovvero locus of control, senso di autoefficacia, attribuzioni e credenze generali e specifiche, autostima, motivazione.

Il primo livello metacognitivo include una serie di conoscenze, notizie e dati su come funziona la mente umana, per quanto è possibile attualmente saperlo. L’insegnante fornisce all’alunno informazioni generali, organizzate in una sorta di “teoria della mente”, rispetto ai vari processi cognitivi e risolutivi (come funziona la memoria, la soluzione di problemi, lo scrivere, ecc.), sui meccanismi che li rendono possibili, sui limiti che necessariamente condizionano le prestazioni mentali e sui fenomeni tipici più frequenti.

L’alunno può così comprendere che, nella mente umana avvengono una notevole varietà di attività differenti ma che sono interconnesse tra di loro: l’immagazzinamento di informazioni, ma anche la loro successiva ricerca e recupero, l’auto-osservazione delle proprie prestazioni e il confronto di queste osservazioni con standard più o meno elevati, che sono stati fissati in parte anche in base al senso di autoefficacia e al livello di autostima; le emozioni e gli stati d’animo (la paura, l’ansia, la collera e la gioia) ma anche il sogno, l’immaginazione, il desiderio, il dubbio e il sospetto; il fare piani e progetti concreti con valutazioni razionali dei costi e dei benefici; la presa di decisione attiva ma anche il vivere in senso depressivo la convinzione che non ci si possa fare niente e che tutto sfugga alle nostre capacità di controllo.

Questo primo aspetto della metacognizione può essere anche molto problematico per gli alunni con disabilità intellettiva, per i quali non è facile sganciarsi dal mondo reale e concreto ed entrare nel mondo delle conoscenze astratte. Anche in questo caso è possibile però proporre informazioni accessibili, realmente comprensibili e soprattutto utili nella vita quotidiana.

Il secondo livello invece,  consiste nell’affrontare processi individuali di introspezione, autoanalisi e autoconsapevolezza, ovvero cosa e come sto pensando, valutando, ricordando, ecc. Dalle conoscenze teoriche generali si passa a quelle più strettamente individuali e cioè al conoscere da parte dell’alunno stesso il funzionamento dei propri processi cognitivi e comportamentali, rendendosi conto dei rispettivi punti di forza e deficit.

Questo processo di autoconsapevolezza personale rappresenta proprio il ponte che collega la conoscenza teorica sulla mente al suo concreto utilizzo individuale nell’auto direzione dei processi cognitivi. è importante che si comprenda che il fatto che ci si renda conto dello svolgersi dei propri processi cognitivi e dei fattori, esterni ambientali e psicologici, che li influenzano non è affatto semplice, anche per un adulto. Vi possono essere varie difficoltà nell’autoanalisi, che senz’altro non è una capacità ben sviluppata e abitualmente esercitata negli alunni con disabilità intellettiva o disturbi dell’apprendimento.

A questo livello metacognitivo l’alunno dirige consapevolmente e attivamente sé stesso, e in particolare governa lo svolgersi dei propri processi cognitivi. In questo processo di controllo o autoregolazione è utile individuare, anche a scopo operativo e didattico, alcune operazioni fondamentali che ne costituiscono altrettanti momenti necessari, come ad esempio fissarsi un chiaro obiettivo di funzionalità ottimale del processo stesso, in termini sia di risultati, sia di modalità di svolgimento, oppure darsi delle istruzioni, suggerimenti o aiuti per svolgere concretamente le operazioni tipiche del processo stesso, cosi come osservare l’andamento del processo stesso, raccogliere dati sui risultati prodotti e renderli disponibili per una successiva valutazione. Infine bisognerà confrontare questi dati prodotti con gli obiettivi e gli standard che precedentemente si erano fissati nonché valutare come positivo lo svolgimento delle varie operazioni richieste se il confronto ha dato esiti positivi e dunque perseverare nelle operazioni intraprese, oppure nel caso contrario valutare come negativo e insoddisfacente il proprio operato e attivare correzioni appropriate e modifiche alle strategie in corso.

Il 4° livello infine introduce le variabili psicologiche di mediazione; l’allievo sviluppa, anche se forse in modo solo parzialmente consapevole, una immagine di sé come persona in grado (più o meno) di imparare, immagine che entra in rapporto con le caratteristiche più profonde della sua generale immagine e valutazione di sé. All’interno di questa dimensione psicologica fondamentale si possono individuare alcune linee di intervento metacognitivo che sono complementari a quelle precedentemente descritte.

Il Locus of control che indica la ragione dove l’alunno ritiene si trovino i fattori responsabili di quello che gli accade, nel bene e nel male, e cioè dove siano le cause dei successi e degli insuccessi. Se l’allievo riesce a risolvere bene un problema, sentirà profondamente che è lui stesso l’artefice di questa vittoria oppure crederà che sia avvenuta per caso» oppure per la bontà dell’insegnante o per la facilità del compito? L’intervento più appropriato a questo livello sarà dunque quello di ridare all’alunno un senso di controllo positivo, almeno su alcuni settori della sua vita scolastica, discutendo continuamente con lui il rapporto tra la propria attività, gli effetti prodotti da questa e quelli invece attribuibili a fattori esterni, usando sistematicamente forme di feedback attribuzionale.

Il senso di autoefficacia è la convinzione delle proprie capacità di raggiungere il successo nell’esecuzione di un compito, e cioè il senso di potercela fare».

Gli alunni con un buon senso di autoefficacia apprendono meglio le strategie di auto- regolazione rispetto ad altri, anche se di pari capacità cognitive, e riescono a utilizzare meglio i risultati dell’automonitoraggio delle proprie azioni. Le influenze positive di un alto livello di autoefficacia si estendono anche alla continuità dell’impegno e alla persistenza nel tempo in uno sforzo strategico, nonché alla libertà di operare autonomamente delle scelte, al definire per sé obiettivi più alti e interessanti, al subire meno gli effetti dell’ansia e della tristezza dopo un insuccesso.

L’autostima è il complesso di giudizi di valore e di sentimenti che proviamo nei confronti dei molti aspetti della nostra persona costituisce il concetto psicologico di autostima. L’autostima dell’alunno è qualcosa che va oltre, in senso affettivo, il locus of control e il senso di autoefficacia, ma si collega, con una fitta rete di rimandi, conferme e dubbi, a molti altri aspetti della vita scolastica e familiare che, in un primo momento, non sembrerebbero in rapporto con l’autostima. È stato per esempio dimostrato, infatti che l’aiuto non richiesto può̀ produrre un senso di diversità e di inferiorità rispetto ai compagni, con conseguente sofferenza psicologica a livello di autostima (Graham e Baker, 1991). Lo stesso può̀ accadere con materiale didattico diverso (o percepito come tale dall’alunno a cui è rivolto). Diventa allora essenziale operare didatticamente secondo il principio della speciale normalità.  

L’insegnante lamenta spesso la carenza di motivazione, e più precisamente di motivazione intrinseca, e cioè di un riconoscimento personale, da parte dell’allievo, dell’importanza che riveste per lui quel tipo di acquisizione, con conseguente investimento spontaneo di energie e comportamenti diretti alla meta. Le ragioni di questo vissuto di estraneità, e in alcuni casi anche di rifiuto manifesto, sono molteplici: dall’incapacità cognitiva di comprendere realmente e di immaginare l’utilità di quello che viene proposto alle influenze negative di un ambiente familiare e sociale che disincentiva il successo negli apprendimenti scolastici.

La motivazione estrinseca si differenzia da quella intrinseca per il fatto che viene sostenuta dall’esterno attraverso l’uso sistematico di incentivi.

In questi casi la motivazione dell’alunno viene potenziata dalla presenza di questi incentivi, di per sé estranei ai contenuti dell’apprendimento, ma che vengono strategicamente utilizzati dall’insegnante con la speranza di trasformare le motivazioni in intrinseche.

Questi quattro livelli metacognitivi costituiscono altrettante dimensioni di analisi e di lavoro didattico-educativo che devono essere ben distinte tra loro e che posseggono una propria precisa identità e caratterizzazione. Tutte queste dimensioni dell’attività mentale metacognitiva si attivano e funzionano però in modo integrato e interconnesso.

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