Normativa sull'inclusione

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Excursus sintetico normativo nazionale sull’inclusione in ambito scolastico

 

La Costituzione Italiana è la principale fonte del diritto, la legge dalla quale prende avvio tutta la trasformazione sociale della nostra Repubblica, di cui l’educazione è parte centrale. Queste affermazioni di principio affondano le proprie radici in lungo percorso di sperimentazioni, riflessioni ed elaborazioni teoriche che presero avvio in seguito alla promulgazione di due importanti leggi che, dagli inizi degli anni ‘70, contribuirono a modificare radicalmente il panorama scolastico italiano: la Legge n. 118 del 30 marzo 1971 e la Legge n. 517 del 4 agosto 1977.

Con la Legge n. 118/71 - “Nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili”, e in particolare con l’art.28, si sancisce che “L’istruzione dell’obbligo deve avvenire nelle classi normali della scuola pubblica, salvi i casi in cui i soggetti siano affetti da gravi deficienze intellettive o da menomazioni fisiche di tale gravità da impedire o rendere molto difficoltoso l’apprendimento o l’inserimento nelle predette classi normali”[1]. Tale legge, sebbene fosse importante per l’affermazione universalistica del principio di accesso alla persona con disabilità alla classe comune, non portò comunque all’abolizione delle classi differenziali o delle scuole speciali.

Nella prassi legislativa rivolta alla scuola merita particolare attenzione la Circolare Ministeriale n. 227/1975 che riporta, in allegato, la relazione conclusiva della Commissione Pubblica Istruzione, presieduta da Franca Falcucci. Il cosiddetto “documento Falcucci”, infatti, è considerato la Magna Charta dell’integrazione degli alunni portatori di handicap: questo poiché in esso sono contenuti i principi ispiratori di altre due leggi fondamentali per il percorso verso l’inclusione nel nostro sistema scolastico: la Legge 517/1977 e la Legge 104/1992.

Tale Circolare preannuncia la nuova cornice scolastica, nonché la nuova lettura e ridefinizione del concetto di “handicap” e di superamento di questo attraverso l’impegno e la responsabilità della scuola nelle possibilità di sviluppo di “ogni bambino e di ogni giovane”. Nella Premessa del suddetto documento si legge infatti che “La preliminare considerazione che la Commissione ha ritenuto di fare è che le possibilità di attuazione di una struttura scolastica idonea ad affrontare il problema dei ragazzi handicappati presuppone il convincimento che anche i soggetti con difficoltà di sviluppo, di apprendimento e di adattamento devono essere considerati protagonisti della propria crescita. In essi infatti esistono potenzialità conoscitive, operative e relazionali spesso bloccate degli schemi e dalle richieste della cultura corrente e del costruire sociale. Favorire lo sviluppo di queste potenzialità è un impegno peculiare della scuola, considerando che la funzione di questa è appunto quella di portare a maturazione, sotto il profilo culturale, sociale, civile, le possibilità di sviluppo di ogni bambino e di ogni giovane”[2].

Ed ancora: “Il superamento di qualsiasi forma di emarginazione degli handicappati passa attraverso un nuovo modo di concepire e di attuare la scuola, così da poter veramente accogliere ogni bambino ed ogni adolescente per favorirne lo sviluppo personale, precisando peraltro che la frequenza di scuole comuni da parte di bambini handicappati non implica il raggiungimento di mete culturali minime comuni. Lo stesso criterio di valutazione dell’esito scolastico, deve perciò fare riferimento al grado di maturazione raggiunto dall’alunno sia globalmente sia a livello degli apprendimenti realizzati, superando il concetto rigido del voto o della pagella”[3].

La Legge n. 517 del 4 agosto 1977, “Norme sulla valutazione degli alunni e sull’abolizione degli esami di riparazione nonché altre norme di modifica dell’ordinamento scolastico”, sancisce i presupposti, le condizioni, gli strumenti e le finalità dell’integrazione scolastica. Essa prevede l’abolizione delle classi differenziali, consentendo a tutti gli alunni in situazione di handicap di accedere alle scuole elementari e alle scuole medie inferiori e prevede gli strumenti necessari per adempiere a tale obbligo: insegnanti di sostegno specializzati, rapporto numerico di alunni con disabilità per classe, interventi specialistici dello stato e degli enti locali. Introduce anche la necessità di una programmazione didattica tarata sulle esigenze dei singoli alunni, che può allontanarsi dai “programmi ministeriali” per rispondere ai bisogni della realtà territoriale in cui la scuola opera. Tale legge si configura quale chiave di volta della scuola che comincia a diventare “di tutti e per ciascuno”.

Vengono inoltre introdotte indicazioni specifiche per il Collegio dei docenti e per i Consigli di Classe la scansione di verifica bimestrale, la compilazione della scheda personale dell’alunno, le osservazioni sistematiche, la valutazione trimestrale da comunicare ai genitori. L’alunno disabile viene non soltanto “inserito” nelle classi comuni, come una presenza formale, quasi imposta, ma viene “integrato” nel gruppo classe e necessita della presenza e del servizio di insegnanti specializzati nel sostegno. Con tale legge la scuola italiana accoglie il modello di integrazione scolastica su cui si baseranno tutte le norme future, superando, una volta per tutte, le logiche dell’esclusione e dell’educazione separata. Si assiste, così, ad una miniriforma della scuola che ha segnato un’autentica rivoluzione nella visione non solo pedagogica e culturale, ma anche politica del nostro Paese.

Nel 1987, poi, la sentenza della Corte Costituzionale n. 215 ribadisce, richiamando gli articoli 3 e 34 della Costituzione, che “agli alunni disabili viene riconosciuto il diritto pieno e incondizionato alla iscrizione e frequenza nella scuola secondaria di secondo grado”[4].

Nel 1992, con la Legge Quadro n. 104[5], vengono raccolti tutti gli interventi legislativi promulgati dopo la L. 517/77, divenendo punto di riferimento normativo dell’integrazione scolastica e sociale delle persone con disabilità. Essa ribadisce e amplia il principio dell’integrazione sociale e scolastica come momento fondamentale per la tutela della dignità umana della persona con disabilità, sancisce il diritto all’istruzione e all’educazione nelle sezioni e classi comuni per tutte le persone in situazione handicap e precisa, all’art. 4, che “l’esercizio di tale diritto non può essere impedito da difficoltà di apprendimento né da altre difficoltà derivanti dalle disabilità connesse all’handicap”.

Il sostegno alle persone con disabilità effettuato nella scuola pubblica “di tutti e per tutti”, diventa un vero e proprio punto di riferimento mondiale della pedagogia speciale.

L’integrazione dell’alunno disabile avviene attraverso l’integrazione di tutti i servizi preposti. Infatti, l’art. 12, al comma 3, fa riferimento alla programmazione educativa, ritenendo fondamentale lo sviluppo delle potenzialità dell’alunno mediante la comunicazione, la socializzazione e la relazione interpersonale; il comma 5 identifica la famiglia quale agente di valore nella progettazione formativa del minore, sancendo il diritto di questa alla partecipazione nella formulazione del Profilo Dinamico Funzionale (P.D.F.) e del Piano Educativo Individualizzato (P.E.I.), nonché alle loro verifiche.

L’art. 14 sottolinea l’importanza della continuità educativa “fra i diversi gradi di scuola, prevedendo forme obbligatorie di consultazione tra insegnanti del ciclo inferiore e del ciclo superiore ed il massimo sviluppo dell’esperienza scolastica della persona handicappata in tutti gli ordini e gradi di scuola, consentendo il completamento della scuola dell’obbligo anche sino al compimento del diciottesimo anno di età”. L’art. 15 dispone l’istituzione dei “Gruppi di Lavoro per l’integrazione scolastica “per l’impostazione e l’attuazione dei piani educativi individualizzati, nonché per qualsiasi altra attività inerente all’integrazione degli alunni in difficoltà di apprendimento”[6]. Vengono stabiliti anche i criteri di valutazione, per tutti gli ordini e gradi scolastici, dei soggetti con disabilità. In particolare, con riferimento alla scuola secondaria di secondo grado, “sono consentite prove equipollenti e tempi più̀ lunghi per l’effettuazione delle prove scritte o grafiche e la presenza di assistenti per l’autonomia e la comunicazione”[7]. La Legge Quadro delinea anche la trama delle parti che devono realizzare l’integrazione, ognuna con una sua competenza o dimensione di cui occuparsi, una sorta di una progettazione sociale a tutto tondo. Nel 2000, la Legge 328 distingue gli aspetti medico-riabilitativi ad opera degli specialisti della Sanità, dal progetto di socializzazione, del quale si fanno carico gli Enti Locali. Infine, l’aspetto educativo resta appannaggio della Scuola, insieme alla progettazione e alla messa in opera del Piano Educativo Personalizzato e del P. D. F., strumenti concreti in cui si esercita il diritto all’istruzione e all’educazione dell’alunno con disabilità.

La portata realistica del progetto di integrazione viene individuata con il D.P.R. 24 febbraio 1994, Atto di indirizzo e coordinamento relativo ai compiti delle Unità Sanitarie Locali in materia di alunni portatori di handicap”[8], che all’art. 1 decreta l’articolazione della compilazione dei documenti specifici quali la Diagnosi Funzionale, il P.D.F e il P.E.I. da parte delle U.S.L. (Unità Sanitarie Locali), prevedendo, inoltre, accordi di programma, il Gruppo di Lavoro Inter istituzionale Provinciale, incaricato di programmare le attività idonee all’integrazione del bambino e composto da docenti, operatori dei servizi sociali e genitori.

Il D.P.R. 275/1999, “Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche”[9] riprende e ridefinisce le disposizioni contenute nella L.104/1992, conferendo alle scuole l’esercizio dell’autonomia educativo-didattica: gli obiettivi nazionali devono essere adattati ai percorsi formativi funzionali alla realizzazione del diritto ad apprendere e alla crescita educativa di tutti gli alunni. L’attenzione al diritto ad apprendere di tutti gli alunni, si traduce, con questo documento, nella redazione del Piano dell’Offerta Formativa che include progetti per gli alunni con i quali l’istituzione scolastica ha l’obbligo di garantire adeguate possibilità di istruzione ed educazione al fine della completa integrazione.

Un altro momento importante nella via legislativa verso l’inclusione è rappresentato dalla ratifica ed esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità del 2006, attraverso la Legge n. 18 del 3 marzo 2009[10], che, pur non introducendo dei diritti specifici per le persone con disabilità, impone un nuovo modello di disabilità indirizzato a rimuovere ogni forma di discriminazione. In questa prospettiva, “l’approccio alla persona con disabilità diviene una questione di rispetto dei diritti dell’uomo, mentre il focus si sposta dall’assistenza e dagli interventi sanitari alle politiche di inclusione che concepiscono la disabilità come una condizione che ogni essere umano vive, prima o poi, nel corso della vita”[11].

Questa nuova visione della disabilità deve molto, anche, all’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che dalla metà degli anni ‘90 adotta la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (International Classification of Functioning, ICF)[12], fornendo uno strumento concettuale per validare scientificamente il nuovo approccio dei diritti alla disabilità. Il nuovo sistema di classificazione dei deficit si affranca dalla prima “Classificazione Internazionale delle malattie” (ICD) del 1970, dove l’attenzione era rivolta agli aspetti eziologici delle patologie e dal ICIDH che descrive gli effetti del deficit sulla persona e sulla sua partecipazione sociale, lasciando l’uso di entrambe negli ambienti medico-specialistici, per realizzare una visione più̀ ampia di integrazione dei dati eziologici con gli effetti della patologia sul piano individuale e ambientale. L’ICF si propone, così, come un modello di classificazione “bio-psico-sociale” attento all’interazione fra la capacità di funzionamento di una persona e il contesto sociale, culturale e personale in cui vive.

Dai punti di contatto tra la Convenzione ONU e l’ICF emerge una nuova prospettiva che abbandona la settorialità e la frammentazione degli interventi per le persone disabili a favore di un approccio globale che possa dare senso alla costruzione di una società pienamente inclusiva e di un ambiente a misura di tutti. La disabilità viene vista in senso dinamico, perché non dipende solo da stati patologici cronici, ma anche da fattori psichici e sociali.

L’iter legislativo italiano sull’inclusione prosegue con l’emanazione della Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012 “Strumenti d’intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”[13], con la relativa C.M. n. 8 del 6 marzo 2013 e con la Nota di chiarimento n. 2563 del 22 novembre 2013), che hanno introdotto nella scuola italiana il concetto di “Bisogni educativi speciali”[14], denominati con l’acronimo “BES”. Tale direttiva estende il campo di intervento e di responsabilità di tutta la comunità educante all’intera area dei bisogni educativi speciali che comprende oltre alla disabilità, sociale e culturale, i disturbi specifici di apprendimento, disturbi evolutivi specifici derivanti dalla non conoscenza e dall’appartenenza a culture diverse. Emerge, così, una scuola che si orienta in senso qualitativo e che si propone come comunità educante, finalizzata non solo a far conoscere, ma anche a far crescere, affinché lo sviluppo del potenziale umano di ciascuno diventi anche una finalità sociale, un modo, cioè, per migliorare la qualità della relazione tra cittadini, per incrementare la ricchezza economica del paese, per arricchire il bagaglio etico e multiculturale della nostra società.

La Direttiva suggerisce di adottare l’Index for Inclusion quale strumento per l’inclusione sociale in ambito educativo. È uno strumento di analisi e valutazione dei contesti scolastici che analizza tre dimensioni fondamentali per il cambiamento inclusivo nella scuola: le culture, le politiche e le pratiche. L’inclusione sociale considera la disabilità non come una caratteristica interna all’individuo che crea un “non funzionamento”, ma come un deficit che si pone all’interno dei processi disabilitanti prodotti da contesti, saperi disciplinari, organizzazioni e politiche incapaci di fornire una risposta adeguata alle differenze delle persone.

Il sistema di istruzione e formazione, alla luce di tali cambiamenti, ha subito una revisione nella prospettiva di un adeguamento della didattica, attraverso la Legge 13 luglio 2015, n. 107, cosiddetta della “Buona Scuola”[15], che ha inciso su aspetti cruciali della scuola. Il provvedimento interviene nel disciplinare l’autonomia delle istituzioni scolastiche dotando le stesse delle risorse umane, materiali e finanziarie, nonché della flessibilità, necessarie a realizzare le proprie scelte formative e organizzative (art. 1, co. 1-4). A livello nazionale, con l’art.15, istituisce l’Osservatorio Permanente per l’inclusione Scolastica, presieduto dal Ministro per l’istruzione e composto da tutti gli attori istituzionali coinvolti nei processi di inclusione, comprese le associazioni e gli studenti. Tra le importanti modiche ritroviamo la creazione della programmazione triennale dell’offerta formativa, con il nuovo Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF): un atto progettuale a lungo termine che presenta le scelte pedagogiche, organizzative e gestionali delle scuole di un determinato territorio, esplicitando le finalità educative, gli obiettivi generali relativi alle attività didattiche e le risorse previste per realizzarli. Con tale legge viene anche ridefinito il ruolo del personale docente di sostegno attraverso l’istituzione di appositi percorsi di formazione universitaria e la revisione dei criteri di inserimento nei ruoli per il sostegno didattico, al fine di garantire la continuità del diritto allo studio degli alunni con disabilità. Altro elemento da sottolineare la volontà della legge di revisionare le modalità e i criteri relativi alla certificazione che deve essere volta a individuare le abilità residue.

Infine, bisogna citare i due decreti normativi più̀ recenti in materia di inclusione scolastica, attuativi della Legge delega 107/2015: il Decreto Legislativo 66/2017 “ Promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità”[16] (entrato in vigore dal 1° gennaio 2019) e il Decreto legislativo 96/2019 “Norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilita”[17].

Il Decreto legislativo n. 66/2017 ribadisce che l’inclusione scolastica, per dirsi tale, deve interessare tutte le componenti della scuola e non soltanto il docente di sostegno. Vengono chiamati in causa: il Dirigente Scolastico, i docenti, il personale ATA, gli studenti, le famiglie e tutti gli operatori istituzionali. Inoltre, introduce il modello bio-psico-sociale dell’ICF per l’elaborazione del Profilo di Funzionamento (che sostituisce la Diagnosi Funzionale e il Profilo Dinamico Funzionale), all’interno del quale viene definita la tipologia delle misure di sostegno e delle risorse strutturali necessarie per l’inclusione. L’obiettivo principale è quello di garantire all’alunno e allo studente con disabilità certificata di poter fruire, in un’ottica ragionata, di tutti i servizi di cui ha diritto; si chiariscono inoltre i beneficiari di specifiche misure di inclusione scolastica peculiari per i minori disabili. Nello specifico, il decreto aggiorna, riorganizza e razionalizza i provvedimenti vigenti in materia, tenendo conto della nuova prospettiva nazionale ed internazionale dell’inclusione scolastica, riconosciuta quale identità culturale, educativa e progettuale del sistema di istruzione e formazione in Italia. Prevede, inoltre, l’obbligo di formazione sulle tematiche dell’inclusione per il personale della scuola. Un ulteriore elemento da rilevare riguarda la previsione di un Piano per l’Inclusione per la progettazione migliorativa della qualità inclusiva della scuola, che diventa il principale documento programmatico della scuola in materia di disabilità,

predisposto da ciascuna istituzione scolastica all’interno del PTOF. La Legge introduce anche il Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD)[18] e la figura dell’Animatore Digitale.

Il 12/09/2019 è entrato in vigore il decreto legislativo 96 del 7 agosto 2019 (Decreto inclusione) che ha apportato delle novità rispetto al D.LGS. n. 66/17 che prevede all’interno del documento Piano educativo individualizzato (PEI) l’uso della classificazione ICF-CY (Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute) promossa dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità). In particolare la legge ha esteso l’adozione dei criteri dell’ICF anche all’accertamento della condizione di disabilità, ha posto maggiore insistenza sul principio di accomodamento ragionevole come principio guida per l’utilizzo delle risorse per il sostegno dei singoli PEI. Inoltre ha effettuato delle modifiche sulle  commissioni mediche per l’accertamento della disabilità nonché la precisazione dei partecipanti alla stesura dei documenti per l’Inclusione. In aggiunta ha previsto la collaborazione dei genitori e la partecipazione dell’alunno  nella massima misura possibile e della scuola nella persona del dirigente scolastico o di un docente specializzato in sostegno didattico. Un’altra novità è sicuramente quella relativa al Piano Educativo Individualizzato che viene ora univocamente definito come “facente parte del progetto individuale” sancendo definitivamente lo statuto del progetto individuale come summa onnicomprensiva degli interventi predisposti per il progetto di vita della persona con disabilità. Sempre per quanto riguarda il PEI si specifica che il documento deve essere redatto dal Gruppo di Lavoro Operativo per l’Inclusione  e che nel progetto di inclusione vi dovrà essere il coinvolgimento diretto dello studente con disabilità  in virtù del suo diritto all’autodeterminazione. Molto importante, inoltre che nel decreto 96/2019 si chiarisce il rapporto di sinergia e azione complementare ai fini dell’inclusione scolastica tra GLO (a livello di singoli alunni) e GLI (a livello di intero istituto). Si tratta, in altre parole, di una legittimazione del GLHO, fino ad oggi lasciato in ombra dalla legislazione e inserito solo in sporadici riferimenti come operativo ma destinato ad essere sostituito dal GLI. Altre modifiche al 66/2017 sono il riconoscimento e istituzionalizzazione della realtà dei Centri Territoriali di Supporto e delle Scuole Polo come importante supporto per l’inclusione scolastica, la definizione più precisa del ruolo del GIT che si viene a configurare come da un lato  la cinghia di trasmissione a livello di ambito territoriale tra Istituzioni e Ufficio Scolastico Regionale e, dall’altro, come punto di riferimento e supporto per i gruppi per l’inclusione delle singole Istituzioni scolastiche. Infine con il 96/2019 viene dato maggiore rilievo all’interistituzionalità del progetto inclusivo. In virtù di questa impostazione, infatti la quasi totalità del processo di inclusione è affidata ad un’autentica azione di rete tra le Istituzioni presenti sul territorio (Sanità, Scuola, Enti Locali).

Concludendo, le più recenti normative in ambito scolastico rafforzano e puntualizzano il significato dell’impegno governativo verso l’inclusione sociale, dando dignità e voce al diritto sociale dell’alunno con disabilità. Il lungo e complesso cambiamento del paradigma culturale legato ai temi della disabilità e della scuola, veicolo di conoscenza e di crescita sociale, ha un ruolo cruciale nel determinarne la riuscita della “Buona Scuola”. In tale quadro storico, la scuola rappresenta il principale attore educativo, un interlocutore imprescindibile nel crocevia tra diritto, politiche socio-culturali e “ben-essere” dell’alunno in situazione di disabilità.

 

[1] GAZZETTA UFFICIALE - Serie Generale n.82 del 02-04-1971, Legge 30 marzo 1971, n. 118, Conversione in legge del decreto-legge 30 gennaio 1971, n. 5, e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili.

 

 

[2] MINISTERO PUBBLICA ISTRUZIONE, Relazione conclusiva della Commissione Falcucci concernente i problemi scolastici degli alunni handicappati (1975). Testo digitalizzato dal Dirigente scolastico Antonio Martino, consultabile all’indirizzo: https://www.edscuola.it/archivio/didattica/falcucci.html.

[3] Ibidem

 

[4] CORTE COSTITUZIONALE, Sentenza Corte Costituzionale 3 giugno 1987, n. 215, consultabile sul sito: https://www.edscuola.it/archivio/norme/varie/scc215_87.html.

[5] GAZZETTA UFFICIALE - Serie Generale n.39 del 17-02-1992 - S. O. n. 30, Legge 5 febbraio 1992, n.104 del Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate.

[6] Ibidem

 

[7] Ibidem

[8] GAZZETTA UFFICIALE - Serie Generale n.79 del 06-04-1994, Decreto del Presidente Della Repubblica 24 febbraio 1994 Atto di indirizzo e coordinamento relativo ai compiti delle unità sanitarie locali in materia di alunni portatori di handicap.

[9] GAZZETTA UFFICIALE - Serie Generale - n.186 del 10-08-1999 - S. O. n. 152, Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell’art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59.

[10] GAZZETTA UFFICIALE - Serie Generale - n.61 del 14-03-2009, Ratifica ed esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, con Protocollo opzionale, fatta a New York il 13 dicembre 2006 e istituzione dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità.

[11] G. Borgnolo (a cura di), ICF e Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità. Nuove prospettive per l’inclusione, Erickson, Trento 2009, in Premessa.

[12] La versione italiana è consultabile sul sito web: https://www.reteclassificazioni.it/portal_main.php?portal_view=public_custom_page&id=25.

[13] La Direttiva e la relativa Circolare sono consultabili sul sito web del M.I.U.R., all’indirizzo: https://www.miur.gov.it/altri-bisogni-educativi-speciali-bes-.

[14] Il concetto di Bisogni Educativi Speciali, che compare nei documenti ufficiali del Regno Unito già̀ negli anni Settanta, diventa ufficialmente una categoria internazionale con la Dichiarazione di Salamanca dell’UNESCO del 1994 in cui si afferma che con il termine Bisogni educativi speciali ci si riferisce a “tutti quei bambini e giovani i cui bisogni derivano da disabilità oppure difficoltà di apprendimento”. L’O.M.S. l’ha inserita nella Classificazione ICF, descrivendola come “qualsiasi difficoltà evolutiva di funzionamento permanente o transitoria in ambito educativo o di apprendimento, dovuta all’interazione tra vari fattori di salute e che necessita di educazione speciale individualizzata”.

[15] GAZZETTA UFFICIALE – Serie Generale – n. 162 del 15-07-2015, Legge 13 luglio 2015, n.107 Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti.

 

 

[16] GAZZETTA UFFICIALE - Serie Generale n.112 del 16-05-2017 - S.O. n. 23, Decreto Legislativo 13 aprile 2017, n. 66 Norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera c), della legge 13 luglio 2015, n. 107.

[17] GAZZETTA UFFICIALE - Serie Generale n.201 del 28-08-2019, Decreto Legislativo 7 agosto 2019, n. 96 Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 66, recante: «Norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera c), della legge 13 luglio 2015, n. 107».

[18] È un Piano previsto dal MIUR per l’Educazione nell’era digitale. Per approfondimenti consultare il sito web: https://www.miur.gov.it/scuola-digitale.